15 gennaio 2008

Freschi freschi
Che bubbo sentire il clamore di quanti vogliono che parli, eventualmente per poi giudicare.

Così è il bubbo democraturatico. Prima l'ultimo monarca assoluto parla poi, semmai, si valuta quanto è bubbo. Come se parlare avesse un qualche rilievo nel mondo bubbo o se dalle parole di un bubbo si potesse ricavare una cura per la bubbità.

Quello che però mi meraviglia è che illustri professori non l'hanno *mai* sentito parlare e così si lamentano dell'intento censorio di chi non vuole che parli proprio lì, in un'altra nazione, in un certo tipo di locale.

Chissà, forse non avendolo mai sentito - e magari scambiando le parole con i fatti - saranno felici. Inoltre quando scrive, da pochi anni, intasca il diritto di bubbo e non mette più niente in licenze aperte. Magari conviene invitarlo rispetto a riempire la biblioteca pubblica dei suoi libretti.

Una volta anch'io avrei voluto che parlasse, che condannasse, che assolvesse, che partecipasse a drammi e speranze, che qualche volta tacesse e qualche volta gridasse. Oggi no. Credo che il bubbo è di quelli che non entrano e che non lasciano che altri entrino, che quando parlano in pubblico è una cosa, ma è in privato cheppoi governano e colpiscono.

Così in democratura tutti possono parlare (anche se l'invito è costosetto). Tanto, da buoni studenti, è tutelato il diritto di non ascoltare, di pensare ad altro e di intontirsi con le cuffiette, sorridendo come bubbi ebeti e applaudendo alla fine.

Troppo bubbo!