01 agosto 2008

Il potere di non fare
Come è noto appena un bubbo, dopo fieri scontri, ottiene un potere la prima cosa che fa è non usarlo. Sei capone dei caponi, cosa fai? Niente.

Ad esempio tutti i bubbini in una grossa azienda sarebbero contenti di frustare chi non lavora (compreso chi non lavora, ovviamente) ma il capone che fa? Nulla. Di sicuro non si impegola in una lite con gli organizzati, che tanto ne può ricavare un extra-buget o una scusa per rampognare il middle-management.

Oppure sei capone di una chiesa e che fai verso le più feroci violazioni? Nulla, scrivi su delle bubberie che bisogna spiegarle per 10 pagine perché nella loro irrilevanza nessuno ci aveva pensato e qualche accenno che, visto benebene, si potrebbe forse riferire alla tale violazione, ma senza [NOMI], senza circostanze, senza coerenza e senza azione, come se fossi un povero bubbo indignato.

Questo è il cuore della bubbità del potere, il suo non uso, ma la facoltà di usarlo. Un po' come quelle culture antiche che tenevano ben separato il potere dalla gestione del mismo potere.

Così oggi tutti i pennivendoli pallonari sono contenti che, dopo poche ore di volo, possono accedere al sito di Amnesty.
Ma non potevano accedere a casa loro e magari firmare o scrivere di qualche appello?

Ma questo è il bello del potere. Autocensurare è il potere del pennivendolo che, se la censura è già pronta come network features, giustamente si ribella perché gli tolgono il suo diritto di non parlare delle violazioni dei diritti umani compiute da [NOME e COGNOME] o da [NOME STATO]. Così il capo è grato, il pennivendolo è autonomo, il bubbino già sa che le notizie che non si leggono vanno cercate altrove oppure non esistono. Qualcuno si lamenta anche della censura, contento di lamentarsi, mentre se dovesse rampognare l'autocensura sarebbe molto più bubbo.

In questo i poteri si distinguono dalle libertà. La libertà se non fai scende (ammesso che una volta ci fosse, io già non mi ricordo), il potere se non fai cresce.

Troppo bubbo!